NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO
PAOLO PERUCH, La bèla de i sete veli. Cinquanta fiabe e racconti della tradizione vittoriese e alto-trvigiana, pref. di Luciano Morbiato, ill. di Laura Cerretti e MariaGrazia Magris, Pasian di Prato (UD), Campanotto Editore, 2003, 8°, pp. 280, ill., € 18,00
Paolo Peruch, che ha raccolto e trascritto le fiabe della tradizione vittoriese e alto-trevigiana che compongono questo volume, dichiara di averlo fatto con l'intento "di poter ancora rivivere e riuscire a comunicare, nell'immediatezza e nella lingua originale, meraviglie, emozione e scoperte dell'infanzia". Questo implica il valore preponderante dato alla figura del narratore, al punto che la raccolta è organizzata per fonti narrative, anzichè per temi. A questo intento divulgativo risponde anche la scelta del curatore di non dare in nota la traduzione dei termini del dialetto vittoriese di più difficile comprensione, bensì tra parentesi tonde e in corsivo di seguito al testo, in modo da dare la possibilità al lettore di ricorrere alla traduzione solo se necessaria e senza rallentare troppo lo scorrere del racconto.
Riprendono vita davanti ai nostri occhi le vicende altezzose principesse, di scaltri e avveduti contadini, di animali parlanti o di personaggi con strane caratteristiche fisiche, come il piccolissimo Burelèt-lugànega , o morali, come Jovanìn-senza-paura, coraggioso fino all'incoscienza. Elementi molto concreti, tipici della vita contadina di pochi decenni fa, come il paiolo per la polenta, l'albero di pere a cui fare la guardia, gli animali dell'aia, convivono con elementi magici, come le tovaglie che si apparecchiano da sole, le lampade che esaudiscono desideri e le principesse prigioniere dei draghi. Grande rilevanza hanno anche i colpi di scena truculenti, probabilmente atti a tener desta l'attenzione degli astanti, che, come ricorda il curatore, spesso ascoltavano queste storie mentre erano occupati in lavori ripetitivi e noiosi. Può capitare così di leggere fiabe senza lieto fine, come quella di Martin, che si credeva morto e alla fine è morto per davvero. Altra caratteristica della maggior parte di questi racconti è la passione per i dettagli scatologici: quando un personaggio si distrae dall’azione è sempre per espletare necessità fisiologiche, e gli escrementi tornano validi per sostituire frittelle inavvedutamente mangiate o, in quantità magicamente abnorme, addirittura per fermare un re col suo esercito.
La raccolta raggiunge pienamente l’obbiettivo che si era posto il raccoglitore: quello di poter tramandare una tradizione importante, mantenendola in vita. L’appendice, ideale completamento del precedente lavoro di Peruch, Fierùn (De Bastiani 2001), raccoglie testi di estensione più breve: nonne nanne, filastrocche, indovinelli, giochi di parole, proverbi. Qui è ancora più evidente l’inscindibilità di lingua e contenuto, l’importanza che il suono delle parole riveste per aggiungere significato e suggestione alla narrazione, ed è forse per questo motivo che nelle sue traduzioni l’autore spesso sente la necessità di specificare ulteriormente i concetti e le nozioni che certe frasi sottointendono, quasi come se, abbandonando la lingua, cominciasse a sfuggire anche il senso.
CHIARA SCHIAVON