INTRODUZIONE
Può sembrare stranamente inattuale una ricerca così rigorosa, come quella che è qui raccolta, sulla tradizione popolare della lingua. Tanto più che questa ricerca non agita un incedere salvifico sulla nostalgia. Ma al contrario è come un racconto corale, ritmato, pop nel senso filologicamente musicale del termine; una biblioteca di frasi e di suoni che ci sembra aliena, estranea, tanto forti sono state le trasformazioni in questi anni. Così forti e veloci e repentine e globali, quasi una riscrittura antropologica di un'intera civiltà.
Perchè allora ostinarsi a misurare la distanza con un passato prossimo che, pur nelle fessure della quotidianità, si presenta col suo volto remoto e arcaico? Perchè ostinarsi a nominare una stagione delle lucciole, mentre l'unica cosa che abbaglia è il vetro smerigliato dell'e-society?
Forse perchè esiste un'economia della nostalgia. Cioè, in quel territorio frastagliato che si autoalimenta di saperi complessi e di tempi definiti, ciascuno produce ed usa alfabeti, segni, suoni, significati di senso che hanno un valore d'uso e di scambio nella loro filigrana sociale. E' questo territorio di conoscenze che produce e riproduce e traduce legami, relazioni, desideri, aspettative.
Il terremoto post-fordista e l'uscita dal Novecento hanno come portato la decostruzione dei centri, siano essi mentali, ideologici, statuali, produttivi, informativi. E le comunità locali erano un centro.
Anzi, per molti versi sono state il centro assoluto della quotidianità e della percezione del proprio futuro per intere generazioni.
Quelle comunità ora non ci sono più. Sgretolate e disseminate, smunte dalle loro graticole di valori irriducibili, ricostruite lungo le filiere dei nuovi nomadi e delle nuove servitù, delle nuove libertà e dei nuovi linguaggi molecolari. Quei segni e quei suoni, che arricchiscono le pagine di questo libro, si sono dissolti e si sono riarticolati nel melting pot che esalta il locale come grimaldello o come spioncino del globale. Così che le comunità ora si alimentano di nuove potenzialità, fuori dai vincoli di sangue e dalle appartenenze blindate, ma produttrici di inusuali autodeterminazioni di sé, dentro un mappamondo che travalica le distanze e le mescola e le mette in rete.
Eppure queste comunità sono legate al territorio. Anzi, sussumono il territorio come propria ragione. Un po' come quella letteratura popolare di cui ci parla Paolo Peruch, che si innervava con il territorio, facendosi di per sé territorio sociale. E oggi che nelle comunità si preferisce praticare spesso il futuro anteriore, forse si può persino osservare il passato con maggior disincanto e scoprire le tracce ricucite della diaspora linguistica, culturale, antropologica delle comunità che ci hanno preceduto. Non per un esercizio archeologico, ma come vitale cassetta di attrezzi, come senso del presente. Altrimenti non è proprio possibile domandare camminando.
MASSIMO CACCIARI