top of page

Nota grafica e linguistica

 

 

Il Dizionario del dialetto di Vittorio Veneto di E. Zanette, edito a Treviso da Longo e Zoppelli nel 1955, ristampato a Vittorio Veneto da Dario De Bastiani nel 1980, può costituire, grazie anche alle sue note di fonetica e di grammatica, un assai utile ausilio per quanti non abbiano dimestichezza con la fonetica, la morfologia e il lessico di questa parlata - appartenente, secondo i glottologi, al dialetto veneto settentrionale, specificamente al trevisano-bellunese, precisamente all'alto-trevisano/basso-bellunese.

E. Zanette afferma, però, di avervi registrato il dialetto parlato "prima del 1915 e cioè nell'800" e diffuso in un ambito che non corrisponde propriamente a tutto il territorio comunale: "nel mio dizionario c'è dunque il dialetto della città, non delle sue frazioni, dei popolani, non dei contadini".

Invece i testi contenuti nella presente raccolta appartengono quasi esclusivamente alla parlata della zona rustica che si estende all'interno di un pentagono di cui Vittorio Veneto, Pieve di Siligo, Conegliano, Oderzo e Sacile costituiscono i vertici; e mentre i proverbi, i modi di dire e gli indovinelli sono frutto di inchiesta di prima mano realizzata in massima parte nella prima metà degli Anni Sessanta, gli altri testi sono stati raccolti dopo il 1997.

 

Le differenze più rilevanti, in campo fonetico, tra il dialetto dei 'popolani' e quello dei 'contadini' sono le seguenti.

Alla Ɨ urbana (laterale evanescente, vicina a quella del veneziano 'coƗonbo' / 'coeonbo') si contrappone, nel territorio extraurbano, la normale l (laterale), la quale, anche se con sensibili progressivi cedimenti a partire dagli ambiti sociali e territoriali più esposti all'influenza della cultura cittadina, resiste tuttora. In questa raccolta non si è dato riscontro alla eventuale presenza della Ɨ evanescente nella pronuncia dei vari informatori.

Alla z e alla ż urbane (alveolari sorda e sonora) si contrappogono la ẑ e la đ rustiche (interdentali sorda e sonora, assimilabili rispettivamente ai suoni inglesi th di thing e th di this): zarese / ẑarese ('ciliegie', venez. sarese), porzèl / porẑèl ('porcello', venez. porsèo), żóven / đóven ('giovane', venez. xóvane), żènt / đènt ('gente', venez. xènte).

 

Sulla base delle indicazioni del Manuale di Grafia Veneta Unitaria (opera di una Commissione scientifica presieduta da M. Cortelazzo, pubblicato nel 1995 a Venezia, Editrice Galiverna, a cura della Giunta Regionale del Veneto), questi sono i segni grafici speciali adottati per la trascrizione di alcune consonanti del dialetto rustico:

 

- la ẑ (fricativa sorda interdentale, qui adottata in luogo della zh), “pronunciata con la lingua fra i denti” e “avvicinabile al suono inglese th di thin 'sottile, fino, leggero'”, in tutte le posizioni della parola: ẑata, d. urbano zata, italiano 'zampa'; marẑ, d. urbano marz, italiano 'marcio' e 'marzo'; nòẑe, d. urbano nòze, italiano 'nozze';

- la đ (fricativa sonora interdentale, qui adottata in luogo della dh), “pronunciata con la lingua lievemente stretta fra i denti” e “avvicinabile al suono inglese th di father 'padre'”:

a. sia in posizione intervocalica, sia tra consonante r e vocale, sia tra vocale e consonante r (anche se appartenenti a due parole poste in successione): liđier, d. urbano liżier, italiano 'leggero'; lèđer, lèżer, 'leggere'; pèđo, pèżo, 'peggio'; pođar, pożar, 'appoggiare'; la đènt, la żènt, 'la gente'; vèrđer, vèrżer, 'aprire'; quèrđer, quèrżer, 'coprire'; da đrio, da drio, 'dietro'; in qualche contesto – ma sempre nel caso di đès (da ađès, 'adesso', per aferesi) - anche se le due parole in successione sono separate da una piccola pausa (segnata normalmente dalla virgola e dal cambiamento di tono): - Parla ti, đès, d. urbano - Parla ti, dès; - Dài, đài! -, lu;

b. talvolta a inizio di periodo, quindi anche in posizione non intervocalica, specialemte nei nessi tra due parole ripetute una accanto all'altra (come per una preventiva assimilazione della prima dentale iniziale alla seconda): - Đame đame qua (accanto a - Dame dame qua), d. urbano - Dame qua, 'Dammi qua'; idem per - Đai đai; - Đ'acòrđo đ'acòrđo; đó, đó e đó;

c. in tutte le posizioni nel caso del sostantivo đènt, 'gente', dell'avverbio đà, 'già', e delle forme singolari e plurali degli aggettivi đal, 'giallo', e đun [da deđun], 'digiuno': ò vist đènt, ò vist żènt, 'ho visto gente'; son đà partì, son ża partì, 'sono già partito'; bel đal, bel żal, 'bel giallo'; son đuna, son żuna, 'sono digiuna').

Tolti i casi appena indicati, fra vocale e consonante diversa dalla r troveremo sempre la normale d, esplosiva sonora dentale: franda, franża, 'frangia'; in dó, d. urbano in żo, 'in giù'; al dugo, al żogo, 'il gioco'; un dioba, un żioba, 'un giovedì'; in denòcio, in żenòcio, 'in ginocchio'; nassest dèmol, nassest żemèl, 'nato gemello'.

Nelle posizioni di cui alla precedente lettera a., per particolari esigenze espressive o in determinati contesti fonetici possiamo avere la dentale d in luogo dell'interdentale đ; ad esempio quando la d è immediatamente preceduta o seguita da un affollamento di vocali che provocherebbe cacofonia o confusione di suoni: òe da đàrgheli?, d. urbano òe da dàrgheli?, 'devo darglieli?'; co i do đei, d. urbano co i do dei, 'con le due dita'; co i dóđese bòt, d. urbano co i dódese bòt, 'con i dodici tocchi'.

  • la c' (affricata sorda palatovelare), in fine di parola, pronunciata come la c di 'socio': batòc', 'battacchio', cunic', 'coniglio';

  • la s-c (fricativa sorda alveolare + affricata sorda palatale), con pronuncia distinta delle due consonanti: na s-cianta, 'un poco', s-ciòsola, 'guscio', s-ciopar, 'scoppiare';

  • la ṡ (fricativa sonora alveolare), “quando la s sonora è collocata all'inizio di parola ed è seguita da vocale”, cioè quando non “viene a trovarsi fra vocali (-s-) o davanti ad altra consonante sonora (sb, sd, sv, ecc.)”: ṡio, italiano 'zio'; ṡèro, 'zero'; ṡàino, 'zaino'; (ma in benṡina, come in altre parlate, la ṡ non si trova all'inizio di parola).

La doppia ss (fricativa sorda alveolare), che viene utilizzata solo in posisione intervocalica allo scopo di distinguerla dalla s sonora (ciò non significa che debba essere pronunciata come doppia: nelle parlate venete non si riscontra questa geminazione).

 

Da notare che la g (esplosiva sonora velare), non preceduta da consonante, quando è seguita dalle vocali a, ó, ò, u, oppure dalla consonante h, nel dialetto urbano mantiene “un'articolazione normale” (Zanette); nel dialetto rustico viene invece pronunciata senza occlusione e tramutata in un'aspirazione sorda, sempre di area velare.

 

Influssi e contaminazioni da altri dialetti e dall'italiano, sia in ambito fonetico che morfologico e lessicale, sono ovviamente presenti e individuabili qua e là nella raccolta: abbastanza numerosi nella cosiddetta letteratura popolare fissa (proverbi, indovinelli e filastrocche, ad esempio), improbabili nelle fiabe e storie e nelle altre prose. In questi casi la registrazione rispecchia la effettiva pronuncia della singola località di raccolta.

 

Accenti

L'accento grafico è segnato:

- “su tutte le parole tronche, tranne su quelle che terminano in consonante (contadin, ciapar), a meno che la vocale della sillaba finale non sia è oppure ò aperta (scarpèr, veciòt)”;

- “sulle parole piane con il timbro tonico è oppure ò aperta” (bèla, cariòla); “sulla ì tonica preceduta da u (puìto, puìna)” (ẑuìta, 'civetta'); “su ì ed ù toniche seguite da vocale finale” (Matìo, 'Matteo', fifìo, 'fifa');

- “su tutte le parole sdrucciole e bisdrucciole, anche quando [...] sono diventate piane per effetto della caduta della vocale finale” (méter, tàser, córer, trìchete tràchete);

- su alcuni monosillabi (e sul bisillabo sòe?, 'so io?'), in prevalenza verbi e avverbi, allo scopo di distinguerli dai monosillabi (i quali non vengono accentati) che hanno lo stesso suono o un suono molto vicino, ma un significato diverso:

 

monosillabi accentati monosillabi non accentati

 

à 'tu hai', 'egli ha', 'essi hanno' a 'a', prep

bèl (bèl che) 'già', 'ormai', avv. bel 'bello', agg.

có 'quando', cong. co 'con', prep.

dà /đà 'tu dai', 'egli dà', 'essi danno'; da / đa 'da', prep.

đà 'già' avv. …............................

dài 'dai', imperativo đai 'gialli', agg. qual.

đó / dó 'giù', avv. đo/do 'due', num.

é 'egli è', 'essi sono' e 'e', cong.

ndé 'voi andate'; 'andate', imperativo nde per onde, 'dove', avv.

nò 'no', avv. no 'non', avv.

ò 'io ho' o 'o', cong.

sé 'tu sei', 'voi siete'; e sé 'sete', nome se 'se', cong.

sìe 'che io sia', 'tu sia', 'egli sia', 'essi siano' sie 'sei', num.

sò 'io so' so 'suo,-a', 'suoi,-sue', agg. e pron.

sòe mi? 'so io?' soe 'sue', pron.

trà 'tiri', 'tira', 'tirano'; 'tira', imperativo tra 'tra', prep.

tré 'voi tirate'; 'tirate', imperativo tre 'tre', num.

vé 'voi avete' ve 'vi', part. pron.

vù 'avuto' vu 'voi', pron. pers.

 

 

Apostrofo

Il citato Manuale suggerisce sia di “allontanarsi il meno possibile dalle consuetudini grafiche dell'italiano” sia di attenersi alla "pronuncia effettiva attuale" lasciando da parte le "preoccupazioni etimologiche". Pertanto:

- si apostrofa (ma non sempre) l' articolo / pronome femminile la: L'aqua la é / l'é bèla; Lu l'à đita che l'à vista ben; La / l'ocheta;

- non si apostrofa mai l' articolo maschile l (per al): l òn; l ort; un par l altro;

- il pronome lo non viene apostrofato quando perde la vocale: l alo vist?; al l à vist de sicuro;

- l'articolo na seguito da parola che inizia con vocale, in certi casi può subire l'elisione (n'ostaria, n'ocheta), in altri rimanere tale e quale (na ostaria, na oca), ma davanti al altra/antra viene obbligatoriamente apostrofato: n'antra;

- l'articolo un (sostituito talvolta da an) può ridursi alla sola n (con pronunzia velare), cui si aggiunge l'apostrofo, come insegna il Cortelazzo, soltanto davanti ad altro/antro (in questo caso con pronunzia dentale: n'altro/n'antro).

Alla preposizione 'te (< inte, it. 'in', 'dentro') viene applicato l'apostrofo al fine di evitare che si confonda col pronome personale omofono te (it. 'tu', 'ti', 'te'): Te torna 'te un lanpo.

Sempre mediante l'apostrofo il sostantivo 'sa (<còssa, 'cosa', per aferesi) viene distinto dalle voci verbali omofone sa ('tu sai', 'egli sa', 'essi sanno'): 'Sa ditu, po? Che lu no l sa gnent?

Analogamente l'aggettivo o pronome 'sta / 'ste ('questa' / 'queste') viene differenziato dalle voci verbali omofone sta / ste ('tu stai', 'egli sta', 'essi stanno' e imperativo 'stai' / 'voi state' e imperativo 'state'): Lu l sta 'te 'sta casa, e voialtri ste tuti 'te 'ste barache; sta bon! / ste boni! (per trascinamento, pur in assenza di loro omofoni dialettali, verranno precedute dall'apostrofo anche le corrispondenti forme maschili 'sto / 'sti ('questo', 'questi'): 'sti fioi de cani.

Altre aferesi, quali le numerose voci del verbo (a)ver, (l)assar, (a)bondanẑa, (a)vanti, (a)bastanẑa, (v)oltar, (v)òlta, ecc., non vengono segnalate dall'apostrofo.

 

Una scelta grafica particolare

Le preposizioni articolate non compaiono in questa trascrizione di testi dialettali vittoriesi. Oltre agli articoli indeterminativi, si è scelto di tenere staccati dalle preposizioni anche quelli determinativi (compreso l'articolo l, derivante dalle frequenti aferesi di al preceduto da vocale): dial. rust. co la scoa, 'con la scopa'; inte le case, 'nelle case'; da l dal a l verđo, 'dal giallo al verde'; co l lupo, 'col lupo'; sù pa l pal, 'su per il palo'; sù pa i pai; de l deo, 'del dito'; de i dei; ecc.

Con questa regoletta ortografica, nuova rispetto alla pratica corrente, da una parte si rispecchia forse meglio la effettiva pronuncia, dall'altra si ottiene il risultato di evitare le omografie tra numerosi monosillabi e la confusione tra al (articolo) e a l (articolo l staccato dalla preposizione a).

 

Anche quando fungono da pronomi dimostrativi, il segno-parola l, corrispondente al pronome italiano 'lo', e la vocale i, pronome italiano 'li', non vengono mai accoppiati ai vocaboli vicini: te l ciame, te i ciame, 'te lo / te li chiamo'; se l sente, se i sente, 'se lo / se li sento'; ghe l porte, ghe i porte, 'glielo / glieli porto'; ecc.

 

Punteggiatura nei testi poetici

I testi 'poetici', quali i proverbi, gli indovinelli e le filastrocche, sono trascritti in modo da ridurre al minimo le scelte di punteggiatura. Risponde a questa esigenza la frequente suddivisione in emistichi, tramite semplice trattino, dei 'versi' dei proverbi e degli indovinelli (in tal modo se ne fa pure risaltare l'isoritmia, che nella poesia popolare surroga spesso l'isosillabismo).

 

 

Verbi

Per la coniugazione dei verbi si rinvia allo Zanette, precisando che nel dialetto rustico attuale:

- esiste anche il gerundio passato: vendo (avendo) vist / rot / sentist / cantà; sendo (essendo) rivà / partì / vegnest;

- vengono usati anche i condizionali interrogativi, presente e passato;

- non sono presenti le desinenze dell'infinito in -ar alternative a -er (II coniug.);

- i pronomi personali di I e II pers. pl. sono noialtri e voialtri, o anche noantri e voantri, non nantri e vantri: noialtri parlen, voialtri tasé; noantri canten;

- la desinenza della II pers. pl. del futuro s. e ant. è -é, non -è: parlaré, varé parlà;

- la desinenza della I, II e III pers. sing. del condizionale presente è -rìe, raramente -rèe: parlarìe, dirìe, scoltarìe;

- l'ausiliare aver del congiuntivo passato, alla I, II e III pers. sing., fa àpie / èpie / vèpie: nò che mi vèpie capì, pense che ti te àpie rason;

- la desinenza della II pers. pl. del presente indicativo interrogativo fa -eo o -ìo, non -èu o -ìu: canteo? piandeo? partìo? sentìo?

- a Gaiarine (vedi i testi raccolti in quel paese) abbiamo tiéner oppure céner in luogo di tégner (tenere); e viéner in luogo di végner (venire).

 

Si riportano, anche a integrazione del lavoro dello Zanette che solitamente indica le voci dei verbi all'interno dei rispettivi lemmi, le coniugazioni degli ausiliari èsser e aver / ver, e alcune voci dei verbi irregolari più frequentemente ricorrenti nei testi della raccolta:

 

Èsser, èsser stat (essere, essere stato)

Ind. pres.: mi son, ti te / tu sé, lu l é / ela la é, noialtri / noialtre sen, voialtri / voialtre sé, lori i é / lore le é

Ind. passato: mi son stat / stata , ti te sé stat / stata, lu l é stat / ela la é stata, noialtri sen stati / noialtre sen state, voialtri sé stati / voialtre sé state , lori i é stati / lore le é state

Ind. imperf.: mi ère, ti te èra, lu l èra, noialtri erensi / se era, voialtri eressi, lori i èra

Ind. trapassato: mi ère stat, ti te era stat, lu l era stat, noialtri erensi /se era, ecc.

Ind. futuro: mi sarò, ti te sarà, lu l sarà, noialtri saren, voialtri saré, lori i sarà

Ind. fut. anteriore: mi sarò stat, ti te sarà stat, lu l sarà stat, ecc.

Cong. pres.: che mi sìe, ti te sìe, lu l sìe, noialtri sene, voialtri sié, lori i sìe

Cong. passato: che mi sìe stat, che ti te sìe stat, che lu l sìe stat, ecc.

Cong. imperf.: che mi fusse, ti te fusse, lu l fusse, n. se fusse, v. fussié, lori i fusse

Cong. trapass.: che mi fusse stat, che ti te fusse stat, che lu l fusse stat, ecc.

Cond. pres.: mi sarìe, ti te sarìe, lu l sarìe, noialtri sarensi / se sarìe, v. saressi, lori i sarìe

Cond. passato: mi sarìe stat, ti te sarìe stat, lu l sarìe stat, ecc.

Gerundio: essendo / sendo; Gerundio passato: essendo / sendo stat

Ind. pres. interr.: sone mi?, setu ti?, elo lu / ela ela?, sene noialtri?, seo voialtri?, eli lori / ele lore?

Ind. imperf. interr.: ère mi?, èritu ti?, èrelo lu / èrela ela?, erensi noialtri / noialtre?, eressi voialtri / voialtre?, èreli lori / èrele lore?

Ind. fut. interr.: saròe mi?, saratu ti?, saralo lu?, sarene noialtri?, sareo voialtri?, sarali lori?

Cond. pres. interr.: sarisse mi?, saressitu ti?, sarisselo lu?, saressimo noialtri?, saressi voialtri?, saresseli lori?

Cond. pass. interr.: sarisse stat mi?, sarissetu stat ti?, sarisselo stat lu?, ecc.

 

Aver / ver (avere), aver vu / ver bu (avere avuto)

Ind. pres.: mi ò, ti te à, lu l à / ela la à, noialtri ven, voialtri vé, lori i à / lore le a

Ind. passato: mi ò vu, ti te à vu, lu l à vu / ela l'à vu, noialtri ven vu / bu, ecc.

Ind. imperf.: mi vee, ti te vea, lu l vea, noialtri vensi, voialtri vessi, lori i vea

Ind. trapassato: mi vee vu, ti te vea vu, lu l vea vu, ecc.

Ind. futuro: mi varò, ti te varà, lu l varà, noialtri varen, voialtri varé, lori i varà

Ind. fut. anteriore: mi varò vu, ti te varà vu, ecc.

Cong. pres: che mi àpie / èpie / vèpie, che ti te àpie / èpie / vèpie, che lu l àpie, che noialtri se àpie / èpie / vèpie , che voialtri apié / epié, che lori i àpie / èpie / vèpie

Cong. passato: che mi àpie / èpie / vèpie vu, che ti te vèpie vu, ecc.

Cong. imperf.: che mi vesse, ti te vesse, lu l vesse, n. se vesse, v. vessi, lori i vesse

Cong. trapass.: che mi vesse vu, che ti te vesse vu,che lu l vesse vu, ecc.

Cond. pres.: mi varìe, ti te varìe, lu l varìe, n. varensi / varinsi, v. varessi, lori i varìe

Cond. passato: mi varìe vu, ti te varìe vu, lu l varìe vu, ecc.

Ind. pres. interr.: òe mi, atu ti, alo lu / ala ela, vene noialtri, veo voialtri, ali lori?

Ind. imperf. interr.: vee mi, vetu ti, velo lu, vensi noialtri, vesi voialtri, veli lori?

Ind. fut. interr.: varòe mi, varatu ti, varalo lu, varene noialtri, vareo v., varali lori?

Cond. pres. interr.: varìe mi, vatitu ti, varilo lu, varinsi n., varissi v., varili lori?

Cond. pass. interr.: varìe vu mi, varitu vu ti, varilo vu lu, ecc.

Gerundio: avendo / vendo; Gerundio passato: vendo vu

 

Far (fare), aver fat (aver fatto)

Ind. pres.: mi fae, ti te fa, lu l fa, noialtri fen, voialtri fé, lori i fa

Ind. passato: mi ò fat, ti te à fat, lu l à fat, noialtri ven fat, voialtri vé fat, lori i à fat

Ind. imperf.: mi fee, ti te fea, lu l fea, n: fensi, v. fessi, lori i fea

Ind. futuro: mi farò, ti te farà, lu l farà, n. faren, v. faré. lori i farà

Cong. pres.: che mi fae, ti te fae, lu l fae, n. se fae, v. fée, che lori i fae

Cong. imperf.: che mi fesse, ti te fesse, lu l fesse, n. fensi / se fesse, v. fessi, l. i fesse

Cond. pres.: mi farìe, ti te farìe, lu l farìe, n. farinsi / se farìe, v. farissi, lori i farìe

Ind. pres interr.: fae mi, fatu ti, falo lu / fala ela, fene noialtri, feo voialtri, fali lori?

Gerundio: fando; Gerundio passato: vendo fat

 

Cior (togliere, prendere), aver ciot (aver preso, tolto)

Ind. pres: mi cióe, ti te ciol, lu l ciol, noialtri ciolen, voialtri ciolé, lori i ciol

Ind. imperf.: mi ciolée, ti te cioléa, lu l cioléa, n. ciolen, v. ciolé, lori i ciol

Ind. futuro: mi ciolarò, ti te ciolarà, lu l ciolarà, n. ciolaren, v. ciolaré, lori i ciolarà

Cong. pres.: che mi cióe, ti te cióe, lu l cióe, n. ciolene, v. ciolée, lori i cióe

Cong. imperf.: che mi ciolesse, ti te ciolesse, lu l ciolesse, n. se ciolesse, v. ciolessi, lori i ciolesse

Cond. pres.: mi ciolarìe, ti te ciolarìe, lu l ciolarìe, noialtri ciolarensi / se ciolarìe, voialtri ciolaressi, lori i ciolarìe

Ind. pres. interr.: cióe mi, ciotu ti, ciolo lu / ciola ela, ciolene n., cioleo v., cioli lori?

Imper. pres.: ciol, ciolé; Gerundio pres.: ciolendo; Gerundio passato: avendo ciot

 

Andar / ndar (andare); èsser andat (essere andato)

Ind. pres.: mi vae, ti te va, lu l va, noialtri nden, voialtri ndé, lori i va

Ind. imperf.: mi ndee, ti te ndea, lu ndea, n. ndensi, v. ndessi, lori i ndea

Ind. futuro: mi ndarò, ti te ndarà, lu ndarà, n. ndaren, v. ndaré, lori i ndarà

Cong. pres.: che mi vae, ti te vae, lu l vae, n. ndene, v. ndée, lori i vae

Cong. imperf.: che mi ndesse, ti te ndesse, lu ndesse, n. se ndesse / ndensi, v. ndessi, lori i ndesse

Cond. pres.: mi ndarìe, ti te ndarìe, lu ndarìe, n. se ndarìe / ndarensi, v. ndaressi, lori i ndarìe

Ind. pres. interr.: vae mi, vatu ti, valo lu / vala ela, ndene noialtri, ndeo voialtri, vali lori?

Imper. pres.: va, andé / ndé; Gerundio pres.: andando; Gerundio passato: essendo ndat

 

Voler (volere); ver volest (aver voluto)

Ind. pres.: mi vui, ti te vol, lu l vol, noialtri volen, voialtri volé, lori i vol

Cong. pres.: che mi vòpie, ti te vòpie, lu l vòpie, noialtri volene / se vòpie, voialtri volée, lori i vòpie

(per il resto, si coniuga come andar; vuole l'ausiliare aver)

 

 

Glossario

 

Questo glossarietto riporta soprattutto vocaboli o forme particolari di vocaboli presenti in questa raccolta ma non registrati nel Dizionario del dialetto di Vittorio Veneto di E. Zanette. La loro esistenza è un'ulteriore conferma di quanto G.B. Pellegrini scrive alla pagina XVIII della prefazione a quest'opera, per il resto giudicata preziosissima: "un dizionario dialettale […] avrebbe dovuto puntare assai di più sulla parlata rustica del circondario cenedese, piuttosto che sul vittoriese cittadino poiché solo nella campagna erano forse ancora vivi molti relitti lessicali, fonetici e morfologici".

L'asterisco (*) sta a significare che il vocabolo - o anche solo la sua terminazione - non risulta usato, per quanto mi consta, al di fuori del testo a cui si rinvia. Talvolta il vocabolo appare appositamente creato per pure esigenze di rima, di allitterazione o di ritmo.

I vocaboli vengono registrati solo al maschile o al femminile, al singolare o al plurale, a seconda di come compaiono nei testi. Quelli indeclinabili sono tradotti soltanto al singolare.

Le sigle affiancata ai singoli lemmi fanno riferimento ai vari capitoli (i numeri rimandano ai testi compresi in ciascun capitolo): F = Fiabe e Storie; I = Ingiovinèi…; M = Mođi đe đir; P = Proverbi; T = Par i cèni e i tosatèi.

 

 

andrusiana s.f. collettivo: pappi piumosi del pioppo (trasportati dal vento); P, 822

antic agg.: antico; I, 17

 

barabòs s.m.: babau, uomo nero; M, 41

barco s.m.: stanza o tettoia per attrezzi agricoli

baùco agg.: stupido, sciocco; M, 54

biset s.m.: insetto molto piccolo, animaluccio appena visibile

*bistòrta (storta e) agg.: tortuosa; I, 70

boarìa s.f . collettivo: buoi e bovaro/i (all'aratura); F, 4

*boj v.: bolle, da bollire; T, 136

borétola s.f.: lucertola; M. 85

bovin m. collettivo: bestiame da stalla; P, 740

bóvola (bissa) s.f.: (biscia) turbine; M, 73

bròc (bròco) s.m.: involucro delle noccciole; P, 736

brustolin (da cafè) s.m.: tostacaffè; I, 9, 10

*burèlo s.m.: bimbetto?; T, 25 (vedi anche F, 4)

 

ciaf s.f.: chiave (in parodia); I, 102

ciòta s.f.: ciocca (di capelli); M, 169

*cođèrlo agg.: da coda?; T, 135

*còlẑa e bigòlẑa agg.: lurida e ultralurida; I, 40

comeđon s.m.: gomito; M, 179

coron v.: corriamo; T, 114

cortif s.m.: cortile; I, 118

*còssa e beòssa agg.: lurida e ultralurida; I, 40

crèpiti (in) avv.: in condizioni di decrepitezza; F, 8

curiòl s.m.: sentierino campestre; F, 11

curona s.f.: corona; T, 103

cuẑa s.f.: agguato; M, 201

 

desmissiarse v.: risvegliarsi, destarsi; F, 1, 3

desseđarse v.: alzarsi dal letto; F, 1

det s.m.: dito; I, 89; T, 127

deẑipar v.: decapitare, uccidere; F, 2

đója (far) s.f.: collegare in serie più coppie di buoi per far loro trainare insieme l'aratro o un carico pasante; M, 211

 

fađa s.f.: fata; F, 3

famòro s.m.: cimurro; M, 219

faẑende (le) s.f.: pudende; P, 478

*febraruẑ agg.: febbraiuccio; P, 762

*fieta s.f. (arcaismo): fetta; T,79

*filaressa s.f.: filatrice; P, 690

*friđon s.m.: padella (o friggitore?); P, 266

fuin s.m.: faina; M, 251

 

galiva s.f.: parità; P, 422

garđèl s.m.: cardellino; T, 61

*gianisa… febrisa… marẑisa v.: si comporta da vero gennaio, ecc.; P, 847

gri s.m.: grillo; F, 10

 

inbalẑolà agg.: impacciato; M, 441

inbotar v.: mettere (il vino) nella botte; P, 675

inclinar v.: determinare l'andamento; P, 782

*indovinèla s.f.: indovinello; F, 21

infrontar v.: appuntellare; F, 1

inmađurir v.: maturare; P, 697

inpanocir v.: il formarsi delle pannocchie; P, 697

instalar v.: riportare nella stalla (dal pascolo); P, 733

inviarse v.: avviarsi, diventare esperti, pratici; P, 306

 

*jan s.f.: ghianda; T, 72

 

*locar v.: gridare come l'allocco; P, 15

*lunèri agg.: lunatici; P, 389

 

mađuran s.m. collettivo: pappi piumosi del pioppo (trasportati dal vento); P,

821

maraman agg.: (malandrino) maremmano; M, 316

*marcheto s.m.: numero 7; T, 26

*marẑàsega (Pasqua) agg.: marzolina; P, 809

*marẑurar v.: si comporta da marzo, da mese invernale; P, 786

*masonil s.m.: area prativa prospiciente la malga, ricca d’erba; P, 786

mastèla s.f.: combriccola; M, 324

melonèra (ẑuca) s.f.: zucca insipida; M, 646

menađiẑa s.f.: piccolo relitto, rimasuglio; F, 12

*mèẑ agg.: mezzo; T, 89

Micèl s.m.: Michele; T, 103

*mìchere màchere onomatopea?; T, 16

mignàgnola s.f.: piagnucolone; M, 427

*mortàsega (Pasqua) agg.: senza vita primaverile; P, 809

*Mumet s.m.: Maometto?; T, 29

 

nuìẑ s.m.: sposo; I, 112

 

omenon s.m.: uomo grande; T, 129

onorar v.: trattare con rispetto, con cortesia; P, 467

 

pacagnos s.m.: uccello 'spaccanoci'; M, 390

pacin s.m.: fanghiglia fine, mota; P, 856

petarèl s.m.. pettirosso (betarèl in Zanette); T, 61

pèten (de l telèr) s.m.: pettine (del telaio); P, 635

piàgola s.f.: insopportabile piagnucolone; M, 427

piaẑaròla agg.: persona che sta sempre in piazza (anziché in casa); P, 522

*pièten s.m. (arcaismo, in parodia linguistica): pettine; I, 102

*pondaròla (pita) agg.: gallina ovaiola; P, 522

 

remolèi s.m.(solo plurale): cruschello; M, 648

rival s.m.: striscia erbosa ai bordi dei campi usata pel passaggio di uomini e

mezzi; F, 3, 4

rumolèra s.f.: rialzo del terreno creato dalla talpa; F, 2

 

sbarar đó v.: crollare giù; F, 1

sbocalona agg.: sboccata; M, 522

*sbrođeghèr /sbrođegòt (febrèr / febròt) agg.: infausto?; P, 764

*sbusaròla (pita) agg.: che si accoppia frequentemente;P, 817

*scarabòto bođesca (?); T, 12

s-ciòrla s.f.: uccello?; donna sventata; M, 538

s-cipar v.: mungere fino all’ultima goccia; P, 418

scoanit s.m.: ultimo nato (ultimo a sgombrare il nido); M, 543

sculièr s.m.: cucchiaio; T, 129

*Séte (le) s.f., le Sette (stelle della costellazione delle Pleiadi); P, 690

sfiẑađa s.f.: coperta di lana (sfizada in Zanette); I, 118

sguàrđola s.f.: acquadella; M, 554

smalutarse v.: perdere il mallo; P, 748

smàndol s.m.: fagiolo fresco; M, 559

solar v.: il risplendere del sole; I, 88; P, 694

*sonda s.f.: sugna, grasso; T, 72

speđocios agg.: pidocchioso; I, 112

spelòrc agg.: spilorcio; M, 571

*sporchiti agg.: sporcaccioni; P, 389

strica s.f.: striscia; M, 452

striga s.f.: strega; turbine; M, 583

suvolon s.m.: soqquadro; F, 3

 

*tarandan s.m.: moneta?; T, 60

traf s.m. (arcaismo, in parodia linguistica): trave; I, 102

trèn s.m.: trasalimento; M, 617

*tri agg.: tre; I, 97

 

urlonar v.; urlare forte; T, 129

 

vana agg.: vuota, priva di contenuto; P, 865

vet v.: vedi, vede, vedono; T, 129

*viveron viveret e viverat s.m.: vivere alla grande stentatamente malamente; P, 625

 

*ẑichignòt s.m.: pugno, percossa pesante

*ẑinqual s.m.: quinto giorno del mese; P, 859

ẑòcola s.f.: zoccolo (chiuso fin sopra la caviglia); I, 115; M, 98, 530

*ẑierẑa s. f. 'anello di legno o di ferro in cui si infila la stanga dell'aratro' [e del timone del carro - n. dell'A.] recita il Dizionario italiano ragionato dell'Editore G. D'Anna-Sintesi) alla voce 'chiovolo', riferendosi a quando la forza motrice per eccellenza dei veicoli era rappresentata dalla coppia di buoi; a quando il traino e la guida del veicolo si esercitavano tramite il timone; a quando la trasmissione del movimento dai buoi al veicolo (non solo all'aratro) avveniva attraverso il giogo, la ẑierẑa, la bròca e il timone; a quando la ẑierẑa costituiva il fulcro del sistema di traino, in quanto collegava i buoi aggiogati al timone.

Il punto di snodo di tale sistema, tanto importante quanto antico in agricoltura (e risale in prevalenza verbi nte al neolitico, a quando l'uomo imparò a sfruttare la forza animale), era rappresentato dalla ẑierẑa (dal plur. del latino circulu(m)?, 'anello', cerchio') e, prima di essa, dal 'chiovolo' vero e proprio (un terzo tipo di bròca, che veniva conficcata in posizione diversa da quelle descritte più oltre: si trattava infatti, come precisa lo Zingarelli, di un 'cavicchio situato al centro del giogo, per infilarvi la stanga del carro').

La ẑierẑa antica (costruita, “na òlta”, come precisa l'informatore citato nel Dizionario del dialetto di Revine di G. Tomasi, “con due rami intrecciati di carpine bianco o di bagolaro”) era formata da un anello un po' più grosso del manico di un cesto, di circa 50 cm di diametro, flessibile oltre che assai resistente, sagomato in modo da risultare piegato in due semicerchi pendenti, a mo' di collana, dalle apposite tacche centrali del giogo. In questi due semicerchi veniva inserito e trattenuto il timone.

Le ẑierẑe di ferro, più recenti, erano costituite, secondo la descrizione del Tomasi, da tre elementi: da due anelli oblunghi (s-ciòne), che abbracciavano il giogo in corrispondenza delle sue tacche arrivando a sporgere una quindicina di centimetri al di sotto di esso, e da un braccio mobile - a forma di semicerchio, di arco (arẑon) ricurvo verso il basso – che, collegandoli, svolgeva la duplice funzione di sostenere e imprigionare il timone e di agganciarlo, tramite la bròca, al giogo. La mobilità di questo braccio permetteva il collegamento e l'aggancio del timone al giogo senza dover ricorrere alle difficoltose evoluzioni in retromarcia dei buoi che la ẑierẑa di legno 'de na òlta' rendeva necessarie nel caso di un loro attacco a un carro già carico.

La ẑierẑa, sia di legno che di ferro, aveva anche la funzione di introdurre quel minimo di flessibilità e lasco antistrappo, specialmente al momento della partenza.

E' forse utile a questo punto precisare che la bròca ('chiovolo', 'chiodo', di ferro) abbinata alla ẑierẑa, del diametro di circa tre centimetri, veniva inserita in un foro praticato nel timone in modo da trapassarlo e da sporgere al di sotto di esso per una decina di centimetri. Questa parte sporgente fungeva da fermo, da gancio, sul quale, appunto tramite la ẑierẑa, si esercitava la forza trainante dei buoi aggiogati. La bròca, il 'chiodo' (lat. clavu(m)), svolge quindi una funzione analoga a quella della 'chiave' (lat. clavis): entrambi gli strumenti servono a 'chiudere o unire strettamente' (v. Dizionario ragionato), anche se sono del tutto diversi nella struttura e nel funzionamento.

Va infine aggiunto che il carro era dotato di un doppio apparato frenante per le discese: quello dei freni che agivano sul cerchione delle ruote, e quello del capestro, che, ancorato alle corna dei buoi e al timone tramite una seconda bròca, impediva al carro (quando i freni non venivano attivati o non bastavano, come in certe pendenze) di finire addosso alle zampe posteriori delle due bestie aggiogate.

Alla prima bròca, perno meccanico al centro del sistema di traino, si aggiungeva dunque quest'altra, conficcata bene in vista presso la punta del timone (qui troviamo piazzato anche il protagonista di Burelet-lugànega).

E non è un caso che giusto quest'ultima assurgesse a vero e proprio simbolo, enfatizzato ed artisticamente elaborato, nella cavéja romagnola, di cui il museo etnografico di Santarcangelo di Romagna conserva una splendida collezione, costituita da un gambo lungo circa 70 cm. e da una elegante capocchia: una specie di disco di acciaio traforato di circa 15 cm di diametro, al quale venivano applicati uno o più anelli, di poco più piccoli e sempre in acciaio, che, agitati o fatti ruotare nel loro alloggiamento durante il movimento della coppia di buoi, producevano un continuo tintinnio. Il traforo della capocchia della cavéja riproduceva l'immagine del sole, della luna, del gallo, dell'aquila bicipite, della colomba, della foglia d'acanto, della croce o altro: antichi simboli collegati a riti divinatori, propiziatori o apotropaici.

Cavéja è un termine imparentato con cavicchia, caviglia, clavicola, chiave, chiodo: ancora punto di snodo, elemento di giuntura, cardine, perno, anche se questa funzione non poteva essere svolta che dalla cavéja del primo tipo. Bròca a sua volta ha la stessa etimologia di brocco, germoglio, con cui condivide le facili allusioni sessuali, presenti anche in 'chiave' e 'chiodo' (parlando dello sviluppo di gemme, bocci, virgulti, si dice sbrocar fòra, 'gettare', 'germogliare').

bottom of page